Archive for the ‘Evasioni’ Category

Le elezioni (primarie)

La valanga di retorica e l’immenso spreco di energie che hanno accompagnato le primarie del PD, pardon del centrosinistra, mi provocano un leggero senso di nausea. Un buon antidoto è tornare alla sana ironia, ed all’immensa intelligenza, con cui Giorgio Gaber, in tempi meno carichi di retorica e in cui la dialettica non era posticcia, trattava l’argomento. Sostiuite alla parola elezioni il termine primarie ed il gioco è fatto. Come mi manca Giorgio Gaber…

Evasioni. La daga nel loden ovvero la politica del manganello

Fa una certa impressione constatare che il solo Beppe Grillo abbia stigmatizzato quanto mostrato da immagini televisive e video amatoriali: ragazzi presi, senza alcun ritegno, a manganellate da forze dell’ordine schierate a difesa di palazzi del potere che, non si sa bene in virtù di quale considerazione, devono rimanere off limits ed immuni (oltre che sordi) a qualunque protesta. Uno spettacolo che in questi anni, dalla Diaz in poi, si è purtroppo visto con sempre maggiore frequenza. Una violenza abnorme, ingiustificata, diretta di volta in volta contro studenti che protestavano, operai in lotta per mantenere il proprio posto di lavoro, pensionati scesi in piazza a rivendicare i loro diritti. In assoluta continuità con i governi Berlusconi il compito esecutivo dei tecnici, sotto i modi cortesi ed il loden tirolese, nasconde il manganello ed una sostanziale incapacità di confrontarsi con chi decide di non adeguarsi alle leggi indiscutibili dello spread e del mercato. Del resto, si sa, i professori universitari amano spesso stare in cattedra ed altrettanto spesso non gradiscono le domande. A colpire (colpirmi) non è solo il tasso di violenza che le immagini mostrano, ma il fatto che venga rivolta contro giovani a cui viene costantemente rimproverato il loro presunto disinteresse nei confronti della politica e della sfera pubblica. E poi, subito dopo, la solitudine nella quale vengono lasciati, anzi spinti, anche da forze di centro-sinistra (Vendola, purtroppo, compreso) unicamente preoccupate di “prendere le distanze”.  Il problema è che quando poi della politica, e del loro futuro, i giovani decidono di occuparsene in prima persona vengono respinti a manganellate in testa. Il messaggio è chiaro: statevene buoni, zitti e a casa, lasciateci lavorare e non rompete, limitandovi ad accettare pazientemente un futuro da disoccupati e precari. Se proprio volete occuparvi di politica potete sempre fare il pubblico plaudente, e silente, a qualche bel confronto- stile X Factor – nelle primarie del centro-sinistra

Il resto lo lascio al bel commento apparso oggi sul Manifesto a firma Marco Bascetta:

I tecnici del manganello

Se nelle piazze italiane di 87 città, da Milano a Torino, da Roma a Napoli, da Padova a Brescia e a Pisa abbiamo visto in azione ieri i «professionisti della violenza», questi indossavano immancabilmente caschi blu, anfibi e pantaloni con la riga rossa. 
I tecnici del manganello hanno dato prova di una tecnica assai primitiva: menar botte da orbi su chi capitava a tiro e incutere il massimo di terrore a una massa imponente di giovani e giovanissimi, in gran parte alla loro prima esperienza di piazza. Mai visti prima, ignoti perlopiù alle stesse realtà consolidate di movimento. Poca organizzazione, nessun disegno preordinato, molta rabbia e molto coraggio nell’affrontare tutti insieme una violenza spropositata, improvvisa e incomprensibile. Solo la consueta faziosità dei media, smentita da numerose immagini e testimonianze, ripropone il trito dualismo tra tanti giovani di buona volontà e frange organizzate di militanti pronti allo scontro e inclini al saccheggio. 
A Roma, con una scelta ai limiti della follia, la polizia blocca il corteo in un punto del lungotevere assolutamente privo di vie di fuga. Non si vuole disperdere, si vuole picchiare. Il panico avrebbe potuto provocare un vero disastro. Perché solo in Italia a un corteo è interdetto, a colpi di lacrimogeni e di manganello, di portare la propria voce sotto le finestre della cittadella del potere? Un corteo che non aveva nulla di minaccioso se non la sua sacrosanta distanza dalle rappresentanze politiche. 
E il suo rifiuto delle logiche indiscusse e indiscutibili che governano la gestione della crisi, fuori da ogni dimensione democratica. Nella capitale d’Italia esiste, come a Pechino, la città proibita e la sua inviolabilità non riguarda in alcun modo una questione di ordine pubblico, o una minaccia reale per i suoi disprezzati abitanti, ma un fatto simbolico, un gesto di arroganza che segna il confine netto tra governanti e governati. Confine che nel tempo del governo tecnico e postdemocratico, conviene sottolineare ulteriormente e senza equivoci. A Roma come ad Atene o a Madrid, dove pur governa una destra politica screditata e ormai invisa ai più e dove una marea montante di indignati e di incazzati invade la città. C’è un principio decisivo e mai enunciato nella dottrina della «spending review»: i bastoni costano meno delle carote. E, soprattutto, non alimentano illusioni. È possibile non far tornare più questo conto? Finora neppure i greci ridotti allo stremo e impegnati in una estenuante guerra di piazza ci sono riusciti. 
Ma con ogni evidenza, soprattutto tra le giovani generazioni, colpite fino all’inverosimile dalle politiche di austerità, dileggiate dalla stupidità e dall’improntitudine dei governanti, bastonate a ogni tentativo di insorgenza, sta crescendo un temibile fronte del rifiuto dal quale l’Europa distoglie lo sguardo, contando sulla frammentazione dei dominati nei diversi paesi del continente e sulla solida unità delle sue oligarchie. È un movimento in larga parte spontaneo, sospinto dall’esperienza individuale e collettiva e dalle nuove forme politiche che questa va assumendo più che dall’ideologia. Su questa prospettiva si abbattono i manganelli.

Evasioni. I partiti politici, l’antipolitica ed il seppuku

Non si pretende tanto, ma almeno le scuse sì, quelle le vorremmo. Perchè ad ogni discorso sulla legge sui rimborsi elettorali qualunque esponente di uno qualsiasi dei tanti partiti che in questi anni ne hanno goduto e scialacquato dovrebbe, per pretendere di essere ascoltato e preso sul serio, premettere alcune cose: 1) vi chiediamo umilmente scusa 2) abbiamo sbagliato e vi abbiamo ingannato 3) di soldi ne abbiamo avuti fin troppi e non ne accetteremo altri. Invece no; quelli che si ascoltano in televisione o si leggono sui giornali sono discorsi elusivi, arroganti e da cui un qualsiasi cittadino, anche piuttosto politicizzato quale io ritengo di essere, non può che sentirsi inevitabilmente preso in giro. E’ infatti evidente a chiunque sia dotato di un vago senso critico che senza l’emergere degli scandali, prima quello Lusi/Margherita ed ora quello che coinvolge la Lega Nord, di norme sui rimborsi dei elettorali non ne sentiremmo parlare. I partiti, con rarissime eccezioni ed alla faccia del referendum del ’93 che aveva abolito la legge sul finanziamento pubblico, continuerebbero ad intascarsi la montagna di soldi che hanno incassato fino ad ora (come del resto concretamente faranno anche in futuro essendo strutturalmente incapaci di farne a meno) e si guarderebbero bene dal mettere in discussione la fonte di finanziamento che gli ha consentito, in questi anni, di ripianare i debiti pregressi (vedetevi in proposito le incredibili ed indecenti dichiarazioni dell’ex amministratore dei DS  Sposetti) o di costituire tesoretti da investire, o tentare di investire, in Tanzania od altri altri modi fantasiosi. A sentirli parlare, gli esponenti dei partiti sembrano non avere alle spalle un passato in cui hanno bellamente ignorato la pioggia di soldi che, dal 1997, arriva con continuità nelle loro casse e l’esistenza di una legge, quella sui rimborsi elettorali, che hanno in larghissima parte votato e mai, dico mai, messo in discussione e sulla quale hanno costruito apparati, dato vita a giornali letti giusto dai loro parenti stretti, messo in piedi inutili canali televisivi. Ed allora giù chiacchere sulla democrazia, sul ruolo insostituibile delle forze politiche, sulla necessità di evitare fenomeni di corruzione, sul finanziamento pubblico come strumento per consentire a chiunque di fare attività politica e, chissà, arrivare magari in parlamento. Peccato che confondano il finanziamento della politica, sacrosanto, con il finanziamento dei partiti politici quasi fossero la stessa cosa e si riferiscano  ai partiti , che stanno alla politica come Dracula sta al sangue, come se fossero l’unico strumento per partecipare alla vita pubblica ed alla formazione delle decisioni, cosa sempre meno vera in una realtà che è cambiata e cambia velocemente. Peccato che la realtà ci dimostri quotidianmente che la montagna di soldi erogata alle forze politiche non ha evitato la diffusione di fenomeni di profondissima corruzione, anzi. Peccato infine che i molti e “democratici” soldi piovuti grazie alla legge vigente non abbiano consentito, sul piano del ceto sociale, la “democratizzazione” del parlamento; sapete quali sono le professioni più rappresentate nelle due camere? Avvocati, ben 134 (il 14 % del totale),  dirigenti, 132, ed imprenditori, 126. Sapete quanti sono gli operai? Quattro e si fanno compagnia con 3 artigiani, 2 paramedici e 1 agricoltore . Ed allora forse è opportuno che i partiti, loro sì che si meritano questa accusa, cessino di fare antipolitica militante, allontanando sempre di più con le loro azioni i cittadini dalla politica, e di assomigliare a piccole aziende e tornino al loro ruolo originale che è quello di rappresentare, auto organizzandosi , delle idee. Si finanzi finalmente la possibilità di fare politica per tutti coloro che desiderano partecipare alla vita pubblica, dentro e fuori dalle forze politiche che non sono più, ed anzi forse sono sempre meno, i “luoghi” in cui può organizzarsi la partecipazione dei cittadini.

Evasioni. Libera(lizzazioni) nos a malo

Premesso che in un paese minimamente dotato di decoro, nonche provvisto di una classe politica decente, alcune cose sarebbero state fatte da tempo semplicemente perchè doverose e che in un coacervo di provvedimenti così complessi è ovvio trovarne alcuni condivisibili, ad infastidire è proprio il carico ideologico che li  accompagna, tale da deformare la realtà. Giudicando  questo paese dalla grancassa suonata in queste settimane dal Governo e dai suoi sostenitori trasversali che vanno dal PD alla Confindustria, bisognerebbe concluderne che , fino ad oggi, abbiamo inconsapevolmente vissuto in un regime di totale assenza di libertà economiche e non. Insomma, una versione riveduta e corretta di quel paese comunista tante volte evocato da Berlusconi che ora viene agitato nella sua versione neocorporativa. Perbacco, non me n’ero mica accorto: non mi ero reso conto che la/e mia/e libertà fossero conculcate dal fatto che non potevo fare la spesa dopo le 22.00 e solo per, circa, 320/330 giorni l’anno e, distratto dal fatto che in soli 5 anni si sono persi 700.000 posti di lavoro, molti dei quali per trasferimento all’estero delle produzioni, non avevo capito che mancavano flessibilità e libertà di licenziare. Non avevo nemmeno compreso che la mia qualità della vita dipendesse in maniera così determinante dalla quantità di taxi in circolazione o da chi mi vende il farmaco X od Y. Ingenuo, pensavo che fossero altre le cose importanti: il progessivo degrado dell’ambiente in cui viviamo, un sistema di trasporto pubblico inesistente,  salari che diventano sempre più insufficienti a far fronte alle necessità quotidiane, un modello produttivo che ha prodotto un numero sterminato di precari, una disoccupazione giovanile alle stelle e che rischia di sottrarre ad intere generazioni anche il banale diritto di sperare, un paese che invecchia e non sa prendersi cura dei propri anziani per cui non esistono strutture adeguate, la criminalità organizzata che controlla l’economia ed anche la politica. Meno male che adesso è arrivato il Mercato, con i suoi piazzisti, a spiegarci che sarà proprio il Mercato a risolvere tutti i problemi: l’economia si rimetterà in moto, i salari cresceranno del 12%, automaticamente si livelleranno le disuguaglianze, peraltro più forti che in qualsiasi altro paese europeo. Perchè è proprio questo che ci raccontano e, da buoni piazzisti, ci ammaniscono quotidianamente: la vecchia convinzione ultraliberista che occorra lasciare mano libera al mercato ed alla concorrenza che, da soli e spontaneamente, creeranno benessere e ricchezza. Esattamente la malattia di cui sta morendo (e non uso il termine in modo figurato) l’intero pianeta che viene riproposta come medicina da vecchi Baroni chiusi dentro i loro modelli matematici ed economici e dal loro codazzo di apprendisti stregoni. Uno scenario in cui tutti noi contiamo non in quanto cittadini, portatori di diritti universali, ma unicamente come consumatori. A colpire è, almeno per quanto attiene la politica, l’infatuazione per queste ricette anche delle forze politiche che, ammainate le bandiere dell’uguaglianza, hanno issato senza colpo ferire quelle delle liberalizzazioni, scambiate in questo continuo abbaglio ideologico per il nuovo sole dell’avvenire.

Quasi a titolo di post scriptum: tra i provvedimenti varati dal Governo Monti c’è anche quello, davvero essenziale per le sorti dell’economia e per aumentare il tasso di competitività, di consentire la circolazione dei Tir anche il Sabato. Se ne sentiva il bisogno: che tristezza che mettevano quelle autostrade senza quelle decine di migliaia di camion a renderle più vivaci e colorite con i loro divertenti gas di scarico. A futura memoria (e sperando di essere smentito): mi piacerebbe che qualcuno in futuro tenesse la macabra contabilità di quanto costerà, al paese ed alle persone in carne ed ossa, questa “libertà” in termini economici e di vite umane spezzate

Evasioni. A proposito di tempo di vita e tempo di lavoro (e di pensioni)

Quando ci raccontano di prolungamento delle speranze di vita, di pensioni da adeguare, della necessità di riportare in equilibrio i conti illustrando i loro grafici e mostrando tabelle, ascisse ed ordinate, si scordano sempre di una cosa: degli esseri umani in carne ed ossa che stanno dietro le cifre ed i numeri. Questa bella lettera, scritta da Luca Mazzucco ed apparsa sul sito del Movimento per la Decrescita Felice (www.decrescitafelice.it), spiega bene cosa succede nel mondo reale (e biologico) e non ha bisogno di alcun commento

Ero tornato da poche ore, l’ho visto, per la prima volta, era alto, bello, forte e odorava di olio e lamiera.
Per anni l’ho visto alzarsi alle quattro del mattino, salire sulla sua bicicletta e scomparire nella nebbia di Torino, in direzione della Fabbrica.
L’ho visto addormentarsi sul divano, distrutto da ore di lavoro e alienato dalla produzione di migliaia di pezzi, tutti uguali, imposti dal cottimo.
L’ho visto felice passare il proprio tempo libero con i figli e la moglie.
L’ho visto soffrire, quando mi ha detto che il suo stipendio non gli permetteva di farmi frequentare l’università.
L’ho visto umiliato, quando gli hanno offerto un aumento di 100 lire per ogni ora di lavoro.
L’ho visto distrutto, quando a 53 anni, un manager della Fabbrica gli ha detto che era troppo vecchio per le loro esigenze.
Ho visto manager e industriali chiedere di alzare sempre più l’età lavorativa, ho visto economisti incitare alla globalizzazione del denaro, ma dimenticare la globalizzazione dei diritti, ho visto direttori di giornali affermare che gli operai non esistevano più, ho visto politici chiedere agli operai di fare sacrifici, per il bene del paese, ho visto sindacalisti dire che la modernità richiede di tornare indietro.
Ma mi è mancata l’aria, quando lunedì 26 luglio 2010, su “La Stampa” di Torino, ho letto l’editoriale del Prof. Mario Deaglio. Nell’esposizione del professore, i “diritti dei lavoratori” diventano “componenti non monetarie della retribuzione”, la “difesa del posto di lavoro” doveva essere sostituita da una volatile “garanzia della continuità delle occasioni da lavoro”, ma soprattutto il lavoratore, i cui salari erano ormai ridotti al minimo, non necessitava più del “tempo libero in cui spendere quei salari”, ma doveva solo pensare a soddisfare le maggiori richieste della controparte (teoria ripetuta dal Prof. Deaglio a Radio 24 tra le 17,30 e la 18,00 di martedì 27 luglio 2010)…Pensare che un uomo di cultura, pur con tutte le argomentazioni di cui è capace, arrivi a sostenere che il tempo libero di un operaio non abbia alcun valore, perché non è correlato al denaro, mi ha tolto l’aria. Sono salito sull’auto costruita dagli operai della Mirafiori di Torino. Sono corso a casa dei miei genitori, l’ho visto per l’ennesima volta. Era curvo, la labirintite, causata da milioni di colpi di pressa, lo faceva barcollare, era debole a causa della cardiopatia, era mio padre, operaio al reparto presse, per 35 anni, in cui aveva sacrificato tutto, tranne il tempo libero con la sua famiglia, quello era gratis. Odorava di dignità.”

Evasioni. L’autocertificazione

Cinque minuti fa al TG1: testuale: “… una notizia arrivata poco fa in redazione: “Non esiste nessuna sospensione della democrazia”, l’ha detto poco fa il Presidente del Senato Renato Schifani…“. Ah beh, allora… adesso siamo più tranquilli. Se non fossi già occupato a scompisciarmi dal ridere ci sarebbe da mettersi a piangere. Evidentemente la cacciata di Minzolini non ha cambiato la qualità dell’informazione del principale TG nazionale. Del resto ci sarebbe da stupirsi del contrario visto che è, salvo lodevoli eccezioni, perfettamente uguale alla minestra che ci passa anche  il resto dell’informazione: riscaldata, insipida e preparata con verdure surgelate mal conservate. Con una cucina di tal fatta non c’è da stupirsi se un’opinione viene annunciata come notizia e nemmeno del fatto che l’opinione in questione, lungi dal contenere alcunchè di oggettivo, proviene da chi è parte in causa, sia come presidente del senato (le minuscole sono volute), sia come esponente del PDL, sia come membro della maggioranza che governa davvero questo paese: la mafia. Da anni i TG sono fatti di parole confuse con i fatti, di opinioni, accuratamente bilanciate politicamente, scambiate appunto con le notizie, di cronaca rosa o nera spacciata per informazione, di notizie, inchieste e quant’altro dovrebbe far parte del cassetto degli attrezzi dei giornalisti nessuna, o scarse, tracce. Del fatto che siamo di fronte ad una sospensione della democrazia, così come viene classificamente definita, se ne può discutere – personalmente ne sono convinto; che l’informazione, almeno quella ufficiale, sia sospesa, anzi si sia autospesa con il beneplacito della stragrande maggioranza degli operatori del settore, è cosa indiscutibile

Evasioni. Come dargli torto?

Riprendo, a fatica per ragioni personali, a pubblicare sul blog che non voglio lasciare spegnere. Per il momento lo faccio usando le parole di qualcun altro, Beppe Grillo, che mi sembrano ineccepibili, faccio totalmente mie e che mi sottraggono alla difficoltà di fermare frasi e parole sulla pagina. Di cose da dire ce ne sarebbero molte, a livello locale e nazionale, conto di trovare a breve la voglia e soprattutto la forza di farlo. Nel frattempo beccatevi un pò di salutare antipolitica

Dal blog di Beppe Grillo del 15 Dicembre

Siamo così distratti dall’economia che non sappiamo più cos’è la democrazia. In Italia ci sono un governo, un parlamento, un presidente della Repubblica, ma non c’è la democrazia. Monti rappresenta solo sé stesso, nessuno lo ha eletto. La sua funzione è quella del liquidatore che deve preservare “la credibilità internazionale”, in sostanza il valore dei titoli di Stato comprati da Francia, Germania e Gran Bretagna per evitare il default. Chiunque, incensurato e morigerato, fosse venuto dopo questa classe partitocratica, della quale Berlusconi è la caricatura, sarebbe stato accolto come un salvatore. E così è stato. La paura di perdere tutto da parte degli italiani ha fatto il miracolo. Ha trasformato un vecchio professore in un padre della Patria. I governi precedenti sono stati il trionfo della partitocrazia. I segretari di partito, grazie a una legge elettorale incostituzionale, hanno eletto a tavolino tutti i senatori e tutti i deputati. Nessun partito si è tirato indietro nel fottere la democrazia. Se comandare è meglio che fottere, i partiti hanno coniugato entrambe le attività. Senza democrazia, senza la partecipazione dei cittadini alla vita pubblica non c’è futuro per l’Italia. Invece che di diritti civili si discute di spread, di bund e di crescita. Se è più democratico un conto corrente o un investimento azionario.
Per la successione di Monti, nel 2013, c’è, caldo caldo, il banchiere Passera. Abbiamo fatto il Risorgimento e la Resistenza per mettere a capo del governo un banchiere? E non è il primo a essere candidato al soglio. Il pdmenoellino Enrico Letta, il nipote di suo zio, ebbe lo stomaco di candidare Profumo un paio di mesi fa. Ritorneremo al voto per censo, come nell’Ottocento. Voterai se te lo puoi permettere. I voti si pagano, non si contano. Il dibattito sui diritti e sui doveri, sulla Costituzione, sui motivi dello stare insieme e sulla costruzione di un futuro migliore è scomparso da qualunque agenda. Siamo diventati correntisti al posto di cittadini. Il codice fiscale ha sostituito la cittadinanza. Si usa la parola democrazia come una pallina antistress. Serve a farci sentire meglio mentre la strizziamo parlandone. “Siamo un Grande Paese Democratico” dove il referendum è solo abrogativo e comunque i partiti se ne fregano dei risultati, dove le proposte di leggi popolari sono ignorate e dove non puoi scegliere il candidato. Cosa vuoi di più dalla vita? Il fascismo a questi gli fa una sega.

Evasioni. Minimo comun denominatore

Dunque, vediamo: la CGIL ha (giustamente) scioperato il 6 Settembre, il Pd che, in quanto tale, non ha aderito allo sciopero sostenendo che i partiti fanno i partiti e gli altri fanno gli altri – affermazione alquanto oscura che presuppone che da qualche parte esista una sorta di codice degli stessi (questo si fa, quest’altro no, questo non è opportuno…) – scenderà in Piazza il 5 Novembre. Nel frattempo ci sono stati, il 10 Settembre, il “Cozza Day” promosso da Grillo e dal Movimento 5 stelle e “Piazza pulita”, organizzato dal Popolo Viola e dagli Indignati l’11 ed il 12 Settembre. Manifestazioni caratterizzate da mille differenze ma unite da un minimo comune denominatore: tutti, proprio tutti, vogliono che Berlusconi e la sua cricca di magnaccia, mafiosi e faccendieri se ne vada a casa. Si dirà: la confusione è grande sotto il cielo, quindi la situazione è eccellente. Non proprio, visto che perfino la manifestazione della CGIL sembra non aver scalfitto il governo e modificato la finanziaria dei ricchi. Lo so che rischio la banalizzazione e che  ci sono mille differenze praticamente inconciliabili: al PD si rizza il pelo solo se sente parlare di sinistra ed alternativa, Grillo caccerebbe dal Parlamento anche l’ultimo usciere ed il Popolo Viola vede poco al di là della questione morale. Però non sarebbe male se ci si parlasse – se si parlassero – e sulla base di quel poco/molto si provasse a fare di tante debolezze una forza ed a costruire un’ondata di protesta che abbia un unico obiettivo: cacciare Berlusconi e provare ad evitare che faccia definitivamente affondare questo paese. Poi si vedrà, come si diceva una volta chi avrà più filo da tessere lo tesserà. Ma, nel frattempo, molti – me compreso – si accontenterebbero, per rimanere in ambito matematico, del raggiungimento di quell’obiettivo forse non sufficiente ma senz’altro necessario, anzi indispensabile

Evasioni: 6 Settembre, sciopero generale. C’è chi dice no

Il 6 Settembre sciopererò e, per quanto può contare, invito tutti a farlo. Sarà una partecipazione estremamente convinta ma non entusiasta.  Mi spiego: convinta nelle motivazioni e nel giudizio su questa manovra (ai cosiddetti guidatori bisognerebbe sospendere la patente per tutta la vita) ingiusta , pasticciata, inefficace, destinata ad aggravare la crisi, sul piano sociale, e non a risolverla ed utilizzata come grimaldello per ridurre e cancellare diritti faticosamente conquistati. Convinta anche perchè mi sembra rompa finalmente il clima di unanimismo religioso che, a partire da Napolitano per arrivare al Pd (ormai ridotto alla paralisi e timoroso anche della propria ombra) , coinvolge la quasi totalità della politica in una lettura riduttiva di quanto sta accadendo. Una possibilità, insomma, di aprire una discussione nel paese che affermi che non siamo alla fine della storia, non esiste un pensiero unico ed i rimedi non possono essere uguali ai mali, che esistono modi diversi per intervenire sul bilancio dello stato – vedi le proposte di Sbilanciamoci– ed è indispensabile tornare a discutere di questioni generali smettendola di osservare la realtà con gli occhiali degli altri e dal buco della serratura che ci viene proposto. Quale orizzonte economico abbiamo davanti ed a cosa pensiamo debba servire l’economia? In un quadro di crisi ambientale e progressiva scarsità delle risorse pensiamo davvero che l’unico orizzonte possibile sia quello di una crescita infinita? Pensiamo che unico scopo degli strumenti economici debba essere quello dell’aumento dei profitti e non quello di disegnare un futuro più giusto ed equo, in cui tecnologia e risorse debbano essere utilizzate per migliorare la qualità di vita degli esseri umani? Molte delle organizzazioni che parteciperanno allo sciopero, da tempo – ed il referendum sull’acqua è stato un passaggio importante di questo processo – sono impegnate in queste riflessioni che, a partire dalla crisi, si spingono a disegnare una politica ed un futuro diverso. Lo sciopero può essere, e per le adesioni raccolte sta già centrando in parte questo obiettivo, un momento importante di questo faticoso cammino di costruzione di un punto di vista diverso e di un soggetto, estremamente necessario, in grado di rappresentarlo efficacemente. I se, i dubbi, sono sull’efficacia dello strumento. Lo sciopero generale è sempre stato l’ “arma fine ti mondo” del Dottor Stranamore, lo strumento con cui dare la spallata finale ad un nemico ormai logoro e sfiancato, un punto di arrivo e non di partenza, quanto di più “forte” si può mettere in campo. Non vorrei che lungi dall’essere una prova di forza, in una situazione in cui chi lo indice è costretto ad un isolamento forzato ed in cui chi dovrebbe rappresentarne le ragioni ne ha abbracciate altre (quelle  appunto del pensiero unico dogmatico), possa diventare un sintomo di debolezza, come accaduto in passato frutto di logiche e rapporti di forza tutti interni al sindacato (in questo caso la CGIL). Personalmente avrei preferito un percorso diverso, più articolato, in grado di costruire alleanze, stanare contraddizioni e capace di non trascurare la fondamentale necessità di trovare forme di lotta e comunicazione davvero al passo con i tempi, capaci di far male a chi detiene il potere senza danneggiare chi lotta. Dubbi che spero possano essere ritenuti legittimi e che ho la presunzione di ritenere che non siano solo miei; contraddizioni in seno al popolo si sarebbe detto una volta. Spero in ogni caso che il 6 si possa davvero essere in tanti e che per un giorno si  ascoltino voci diverse da quelle che quotidianamente appestano l’aria di questo paese

Evasioni. Il dito

Lui, il dito intendo, di tutta questa improvvisa notorietà ne avrebbe fatto volentieri a meno. Abituato tutt’al più a sentirsi insistentemente guardato da qualche imbecille in vece della luna, mai avrebbe sognato di sentirsi al centro del dibattito politico di un parlamento come quello italiano. Ed invece, in un clima che alla corte dei Borgia manco se lo sognavano, eccoli lì: tutti attenti a esibire il dito indice mentre, con le altre dita ben ripiegate all’interno, mostravano la ferrea volontà di votare a favore dell’autorizzazione a procedere dell’inquisito di turno. Qualcuno tra loro, i deputati, addirittura lo metteva prima ben in mostra a favore di fotografi e telecamere, ad evidenziare determinazione e rigore morale. Rigore morale si fa per dire… parliamo sempre di un parlamento che conta 84 inquisiti su 945 membri, una percentuale riscontrabile, forse, solo nelle carceri italiane, difficilmente in qualunque altro aggregato sociale. La cosa divertente è che tutte queste dita indice fallicamente erette e baldanzosamente mostrate non sono bastate a garantire l’uguaglianza davanti alla legge di almeno uno dei due parlamentari oggetto del giudizio: il senatore Tedesco. So di fare professione di antipolitica e anche di cadere nel qualunquismo più becero, però lasciatemi dire che al dito indice vanamente esibito dai deputati preferisco di gran lunga il dito medio di Cattelan, che opportunamente il Comune di Milano ha deciso di lasciare di fronte alla sua sede naturale, il parlamento che conta, quello che decide davvero e non per finta: la Borsa di Milano. Che dire: c’è dito e dito e questo, scrivendo di politica, mi sembra descriva meglio il nostro paese

Evasioni. Capitano di lungo costo

Altro che Cristoforo Colombo che, convinto di navigare alla volta delle Indie, si ritrovò nelle Americhe. So che il paragone non regge data anche la diversità di levatura tra le due figure, ma che sorpresa per il Capitano di lungo costo Tremonti, convinto di essere tranquillamente seduto sulla tolda del Rex, quella di trovarsi invece sulla prua del Titanic e scoprire che per di più la nave aveva iniziato ad imbarcare acqua. Del resto l’aveva detto non molto prima anche il suo armatore, il mafioso di Arcore (copyright Bossi), che “la nave andava” e lui, ossequiente, era lì a bersi tranquillamente il suo daiquiri insieme al resto della ciurma. Nessuno, nonostante il mare fosse infestato da iceberg e letteralmente cosparso di cadaveri galleggianti in decomposizione, l’aveva avvertito che la navigazione fosse pericolosa e lui era troppo occupato a scrivere libri sulla globalizzazione per occuparsi di quisquiglie e pinzillacchere come la disoccupazione, la crescita della povertà, la precarietà e la sconfortante percentuale di giovani che non riescono a trovare lavoro e sono così disperati da rinunciare perfino a cercarlo. Poi che la navigazione, sotto la sua guida, fosse tranquilla e sicura l’avevano detto anche gli armatori delle altre compagnie che speravano prima o poi di ingaggiarlo e promuoverlo al comando delle proprie navi e, anzi, fondersi in una unica compagnia. Dannazione. Ora bisognerà davvero pensare a lanciare l’allarme, poi, se si riesce a portare la nave in porto senza farla affondare, mostrare il diario di bordo e allora saranno dolori. In più, forse, se la falla non viene tamponata, bisognerà pensare anche a salvare i passeggeri. Passi per  quei poveracci della terza classe, il loro destino è segnato, ma quelli della prima no, quelli pagherebbero biglietti costosi se il Capitano non li avesse aiutati, per anni, a truffare la compagnia e poi sono sulla sua stessa linea di galleggiamento, se affondano loro affonda anche il capitano e l’armatore, gli armatori, non ne saranno molto contenti…

Per capire di cosa parliamo davvero quando parliamo di “crisi ineluttabili”, di possibile fallimento degli stati, quando ci riferiamo alle società di rating come a possibili dioscuri infallibili,  per comprendere cosa ci sta sotto una finanziaria che non risolverà un bel nulla e renderà chi è povero in questo paese ancora più miserabile, vi rimando a due lucidissimi contributi: Luciano Gallino su “Repubblica” del 14 Luglio ” Quella miopia politica delle misure di austerità” e Guido Viale su “Il Manifesto” del 17 Luglio ” Se a votare sono i mercati

Evasioni. Ich bin ein Terrorist

Lo confesso. Sono anche io un terrorista e lo dico, mutatis mutandis, come e con lo stesso spirito di orgoglio e condivisione con cui J.F. Kennedy pronuncio, nel 1961 di fronte al muro ed ai cittadini Berlinesi , la famosa frase “Ich bin ein Berliner”. Se fossi stato in Val Susa avrei tentato anch’io di rioccupare i cantieri dell’Alta velocità e, forse, se qualche lacrimogeno sparato ad altezza d’uomo mi avesse colpito o sfiorato, non avrei resistito alla tentazione di lanciare qualche pietra. Sono convinto che milioni di altri cittadini italiani, di fronte alla indecente canea velinara scatenata dai mezzi di disinformazione e distrazione di massa, sentano – come me – un’identificazione profonda con i cittadini della Val Susa in lotta contro la TAV  e con le loro ragioni. Lo dico da non violento convinto (e anche, permettetemelo, da figlio di un ex-poliziotto, cosa di cui sono sempre andato fiero), da persona che condanna decisamente atti che rischiano di confondere torti e ragioni, vittime e persecutori, che ritiene non solo che siano sbagliati tatticamente, ma che lo siano in sè. Ma un conto è condannare l’incapacità, o forse la momentanea mancanza di lucidità, nel contenere reazioni violente anche se provocate da interventi violenti delle cosiddette forze dell’ordine, un conto è il tentativo di  spalmare ed estendere l’accusa di violenza e terrorismo su una manifestazione di 70.000 persone, a cui si calcola abbia partecipato un abitante su due della valle  ed in cui erano presenti non fantomatici black block ma persone normali: donne, uomini, bambini, anziani. Altro che i ” globe-trotter” professionisti della violenza che ci vengono raccontati dai mass media, veri e propri fantasmi che come Madonne Peregrine vengono evocate, dai G8 in poi, per esorcizzare e delegittimare qualunque tentativo di dissenso di massa. Oggi la televisione mostrava le immagini della conferenza stampa in cui la polizia esibiva le “armi” dei manifestanti. Il pensiero è tornato a Genova, ai fatti della Caserma Bolzaneto e della Scuola Diaz, alla conferenza stampa in cui anche allora si mostravano le “armi” dei manifestanti salvo scoprire poi che a prepararle,  e a portarle sul luogo, erano stati gli stessi funzionari di polizia (successivamente per questo condannati). Le ragioni di chi sostiene quest’opera sono davvero scarse e molto deboli, quasi inesistenti ed il tentativo è evidente: spostare la discussione su un’altro piano, quello della violenza. Non credo che riuscirà, troppo profonde le ragioni dei NO TAV e troppo esteso,popolare ed intelligente il movimento perchè si faccia ingabbiare in questa trappola. Come dicono gli abitanti della valle: sarà dura.

A proposito: il Maroni che ciancia di terroristi è lo stesso che  è stato condannato, in via definitiva, per “oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale”. In gioco non c’era il futuro di un territorio ma una più prosaica perquisizione alla sede della Lega di V. Bellerio. Val la pena di ricordare che aveva morso un polpaccio ad un poliziotto: della serie “hanno avuto pane per i loro denti”. Riporto uno stralcio dell’episodio da Wikipedia:

“…l 16 settembre 1998 Roberto Maroni fu condannato in primo grado a 8 mesi per oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale. La Corte di appello di Milano il 19 dicembre 2001 ha confermato la decisione di primo grado riducendo la pena a 4 mesi e 20 giorni perché nel frattempo il reato di oltraggio era stato abrogato. La Cassazione nel 2004 ha poi confermato la condanna commutandola però in una pena pecuniaria di 5.320 euro. Per la Suprema Corte «la resistenza» di Maroni e degli altri leghisti «non risultava motivata da valori etici, mentre la provocazione era esclusa dal fatto che non si era in presenza di un comportamento oggettivamente ingiusto ad opera dei pubblici ufficiali». In modo particolare gli atti compiuti da Maroni sono stati ritenuti «inspiegabili episodi di resistenza attiva (…) e proprio per questo del tutto ingiustificabili…”

Evasioni. Napoli: speriamo che il buongiorno non si veda dal mattino

A beneficio dei tre lettori del blog: sono sfrenatamente entusiasta dell’elezione di Pisapia a Milano, De Magistris a Napoli (ma anche di quelle di altri sindaci come Zedda a Cagliari), non solo per il risultato in sè ma anche per il processo con cui, a partire dal basso, si sono costruite le candidature, per il fatto che i successi di questi candidati hanno dimostrato quanto vuoto e dannoso sia stato il prolungato uso, a sinistra, del termine “moderato”, vera e propria palla al piede per qualsiasi ipotesi di sconfitta del berlusconismo e di costruzione di un’alternativa politica e sociale, per la capacità di questi candidati di intercettare una richiesta di cambiamento che carsicamente andava crescendo e che è sfociata successivamente anche nella vittoria dei referendum del 12 e 13 Giugno. Appunto: la stessa acqua, lo stesso fiume. Detto ciò a scanso di equivoci, va detto che se il buongiorno si vede dal mattino, i primi passi del Sindaco De Magistris a Napoli non sono del tutto incoraggianti. Qualche segnale c’era già stato in campagna elettorale: la promessa di portare in sei mesi la raccolta differenziata a Napoli al 70%, aveva suscitato più di una perplessità e qualche facile ironia. Per dirla in parole semplici: una inutile spacconata rinveratasi nel recente annuncio, naufragato sugli scogli di una dura realtà, che in cinque giorni la città sarebbe stata liberata dalla spazzatura. Certo, le  giustificazioni addotte da De Magistris sono tutte vere: la non collaborazione ed il boicottaggio del governo, quello forse ancora più efficace e pericoloso della camorra e delle altre organizzazioni criminali, la mancata collaborazione di altre istituzioni, tutte cose sacrosante. Però… però tutte queste cose erano e sono ampiamente prevedibili e parte ineludibile di un contesto come quello napoletano e nazionale, il fatto di averle sottovalutate indica non solo una capacità approssimativa di lettura della realtà, ma anche la difficoltà ad elaborare una modalità di gestione della cosa pubblica culturalmente e materialmente lontana dal berlusconismo, dalla sua necessità fisiologica di ricorrere a slogan, annunci e ad un rapporto con il corpo sociale improntato ad un demagogico populismo. Non se ne può più, non abbiamo bisogno di uomini (e donne) della provvidenza seppur di segno diverso, di novelli Rodomonte ma di sobrietà e di “uomini”  normali, seri, pazienti preparati e determinati. A fare il cambiamento sarà l’impegno quotidiano, lungo e difficile, a ricostruire un tessuto sociale sfaldato, a progettare i modi per dare gambe a nuovi modelli di partecipazione e voce a chi è stato ridotto al silenzio, in questi anni, non solo dai governi di centro-destra, ma anche da un centro-sinistra incapace di porsi in ascolto ed in sintonia con le richieste di cambiamento presenti  nella società. Speriamo che il vento non cali e sappia spazzare via le nuvole

Evasioni. Stay Human

Domenica si terranno i funerali di Vittorio Arrigoni. A colpirmi particolarmente non la sua morte, bensì la sua vita, di cui la fine tremenda è stata parte inseparabile,  tragicamente integrante. La vita di una persona capace di dare concretezza, fino alle estreme conseguenze, a parole che per molti di noi restano suoni a perdere. Nel caso di Arrigoni quell’Utopia contenuto nel modo in cui amava farsi chiamare non stava solo nei fini, ma anche, ed è questo che arriva direttamente a noi con un forte senso di verità, nei modi.  Sazi come siamo, fatichiamo, persi in mille pigrizie ed irretiti da compromessi così quotidiani da divenire impercettibili, a dare spessore alle idee, anche a quelle più nobili – se potessi mangiare un’idea , cantava Giorgio Gaber – Vittorio Arrigoni l’ha fatto, coniugando umanità e rigore politico, utopia e impegno diretto, dimostrando, il che accade raramente, come le pratiche non-violente non siano solo ubbie di qualche anima bella, ma strumento di cambiamento reale ed effice che genera azioni capaci di spostare le montagne e far davvero crescere le coscienze. Lo voglio ricordare con le parole di sua madre,  donna di umanità, dignità ed intelligenza altrettanto non comuni. Tratte da una lettera al Manifesto. STAY HUMAN.

VITTORIO NON E’ MAI STATO COSI’ VIVO COME ORA

DI EGIDIA BERETTA ARRIGONI .

Domenica, 17 aprile 2011

Bisogna morire per diventare un eroe, per avere la prima pagina dei giornali, per avere le tv fuori di casa, bisogna morire per restare umani? Mi torna alla mente il Vittorio del Natale 2005, imprigionato nel carcere dell’aeroporto Ben Gurion, le cicatrici dei manettoni che gli hanno segato i polsi, i contatti negati con il consolato, il processo farsa. E la Pasqua dello stesso anno quando, alla frontiera giordana subito dopo il ponte di Allenbay, la polizia israeliana lo bloccò per impedirgli di entrare in Israele, lo caricò su un bus e in sette, una era una poliziotta, lo picchiarono «con arte», senza lasciare segni esteriori, da veri professionisti qual sono, scaraventandolo poi a terra e lanciandogli sul viso, come ultimo sfregio, i capelli strappatagli con i loro potenti anfibi.

Vittorio era un indesiderato in Israele. Troppo sovversivo, per aver manifestato con l’amico Gabriele l’anno prima con le donne e gli uomini nel villaggio di Budrus contro il muro della vergogna, insegnando e cantando insieme il nostro più bel canto partigiano: «O bella ciao, ciao…»

Non vidi allora televisioni, nemmeno quando, nell’autunno 2008, un commando assalì il peschereccio al largo di Rafah, in acque palestinesi e Vittorio fu rinchiuso a Ramle e poi rispedito a casa in tuta e ciabatte. Certo, ora non posso che ringraziare la stampa e la tv che ci hanno avvicinato con garbo, che hanno «presidiato» la nostra casa con riguardo, senza eccessi e mi hanno dato l’occasione per parlare di Vittorio e delle sue scelte ideali.

Questo figlio perduto, ma così vivo come forse non lo è stato mai, che come il seme che nella terra marcisce e muore, darà frutti rigogliosi. Lo vedo e lo sento già dalle parole degli amici, soprattutto dei giovani, alcuni vicini, altri lontanissimi che attraverso Vittorio hanno conosciuto e capito, tanto più ora, come si può dare un senso ad «Utopia», come la sete di giustizia e di pace, la fratellanza e la solidarietà abbiano ancora cittadinanza e che, come diceva Vittorio, «la Palestina può anche essere fuori dell’uscio di casa». Eravamo lontani con Vittorio, ma più che mai vicini. Come ora, con la sua presenza viva che ingigantisce di ora in ora, come un vento che da Gaza, dal suo amato mar Mediterraneo, soffiando impetuoso ci consegni le sue speranze e il suo amore per i senza voce, per i deboli, per gli oppressi, passandoci il testimone. Restiamo umani.

Evasioni. I magliari

Magliaro: Nella accezione comune il termine viene usato come sinonimo di imbonitore, ciarlatano, ciurmatore, imbroglione, saltimbanco, trombone, buffone, pagliaccio

Venditori disonesti. Imbroglioni e populisti. Come altro definire politici che ogni giorno si richiamano strumentalmente  alla volontà popolare come fonte di legittimazione e poi, quando si tratta di farci davvero i conti, abilmente, trovano il modo per evitare di misurarsi con essa? C’è un referendum sul nucleare sul quale, dopo Fukushima, si rischia una tragica debacle e che, tra l’altro, rischia di trascinare alle urne un numero di cittadini tale da garantire il quorum anche su altre importantissime tematiche quali l’acqua,  da intendere come bene comune, ed il legittimo impedimento? La tragedia nucleare giapponese rischia di vanificare la campagna di boicottaggio (pensate alla decisione di disgiungere, a spese nostre, il voto referendario da quello delle amministrative) e totale oscuramento informativo dei referendum del 12 e 13 Giugno e far sì che quei testoni di italiani, invece di andare al mare o guardarsi beatamente Maria De Filippi in televisione, si rechino lo stesso, in gran numero, a votare  per riaffermare il  diritto a tutelare la propria salute e quella delle generazioni future e rivendicare che l’acqua è di tutti? Bene, semplicemente si elimina l’oggetto del contendere, rimandando in modo truffaldino la decisione un pò più in la, a tempi migliori, contando sul fatto che di questi tempi la memoria è piuttosto volatile. In più, giusto per confondere ulteriormente le acque e distogliere l’attenzione da quello che sta accadendo, si trova un parlamentare, peone sconosciuto, tal Ceroni, e gli si fa presentare un bel progetto di legge che mira a modificare l’art. 1 della Costituzione. Boom! Avete presente quelli che nelle metropolitane fanno il gioco delle tre carte? Viaggiano a tre: uno gestisce le carte, un altro punta il denaro e il terzo compare ha il compito di coinvolgere, e distrarre, il malcapitato di turno. A questi piccoli, e quasi simpatici imbroglioni, ogni tanto va male: arriva la polizia e l’imbroglio ha termine. Ai magliari che ci governano questo non succede: loro la polizia l’hanno al loro servizio.

Lascio il commento finale alla vignetta di Vauro apparsa oggi sul Manifesto, mi sembra  sia superfluo aggiungere altro